Bibliografia - Volumi
Alcuni libri presentano uno stile che si discosta da quello tipico dell’autore (p. es. il pluralis maiestatis in § 2). Queste particolarità furono dovute a espresse esigenze degli editori.
1. I cognomi cimbri – 136 pp., edizione a cura dell’autore, Verona 1980.
È diviso in due parti: nella prima (circa 350 voci) sono spiegati etimologicamente i cognomi di sicura — o quasi — matrice cimbra; nella seconda (circa 240 voci) sono riportati cognomi dubbi, alcuni dei quali possono essere cimbri. Sono trattati cognomi sia antichi che moderni, di tutte le aree cimbre. In fondo è un indice anch’esso diviso in due parti: cognomi e toponimi.
2. Testi cimbri: gli scritti dei Cimbri dei Tredici Comuni Veronesi – 400 pp., Bi & Gi Editori, Verona 1983.
È composto delle seguenti parti: Premessa (pp. 13-45); Note di fonetica tredicicomunigiana (pp. 47-49); Testi, raggruppante 180 scritti di vario tipo che rappresentano l’intera letteratura dei XIII Comuni dalle origini al 1960 piú un’ampia selezione di scritti dal 1961 al 1979; Vocabolario tredicicomunigiano-italiano (pp. 357-389); Fonti bibliografiche (pp. 391-399). Di molti autori è data una breve biografia. La Premessa offre una storia dei primi insediamenti dei Cimbri, assieme a una rassegna completa delle varie teorie sulla loro origine, accompagnata dal punto di vista di Rapelli sulla questione. I testi sono accompagnati da note filologiche; il vocabolario rappresenta in pratica la riedizione di quello del Cappelletti del 1956, emendato dai molti errori ivi contenuti (in proposito dei quali si veda il commento alle pp. 357-358).
3. Borgo Venezia (Verona): note di toponomastica – 24 pp., edizione a cura dell’autore, Verona 1988.
Sono trattati 29 toponimi, molti dei quali non indigeni del popoloso quartiere orientale di Verona, ma aventi con questo relazione diretta.
4. Borgo Milano, S. Massimo, Chievo: note di toponomastica – 32 + 4 pp., 3ª Circoscrizione (Ovest) del Comune di Verona, Verona 1989.
Sono trattati 60 toponimi di questa vasta zona.
5. Nel cuore di Verona cinquant’anni fa – 96 pp., edizione a cura dell’autore, Verona 1994.
Volumetto che offre un quadro di come vivesse la gente comune di Verona intorno al 1950; come fa notare l’autore nella breve premessa, si annoverano diversi lavori sui montanari della Lessinia o sui contadini della Bassa, ma pochissimi sui cittadini, specie su quelli piú diseredati. Capitoletti: La strada; La casa; Il lavoro; I rapporti sociali; Le donne; Il dialetto; La povertà; Gli svaghi; La cultura; La salute; L’alimentazione; Fede e politica; Gli strascichi della guerra; L’indole della gente.
6. Concamarise: origine e storia dei nomi di luogo – 52 pp., Comune di Concamarise, Concamarise (Verona) 1994.
Sono trattati 64 toponimi locali.
7. Sanguinetto: il significato dei nomi di località – 54 pp., Comune di Sanguinetto, Sanguinetto (Verona) 1995.
Sono trattati 72 toponimi locali.
8. I cognomi di Verona e del Veronese: panorama etimologico-storico – 504 pp., Edizioni “La Grafica”, Vago di Lavagno (Verona) 1995.
Volume che tratta oltre 11.000 cognomi presenti nel Veronese, di qualsiasi origine essi siano. Scopo principale è darne il significato; sono riportati cenni storici o genealogici solo in quanto possano contribuire a tale scopo. È suddiviso nelle seguenti parti: Presentazione (di Giulia Mastrelli Anzilotti; pp. VII-VIII); Premessa (pag. 1); Introduzione, comprendente Stratificazioni etniche nel Veronese (pp. 3-9), La comparsa dei cognomi (pp. 9-15), Aspetti linguistici dei cognomi: tipologia, morfologia, fonologia, base lessicale (pp. 16-31); Avvertenze per la consultazione (pp. 33-36); Abbreviazioni bibliografiche (pp. 37-44); Glossario dei termini della linguistica ricorrenti nel volume (pp. 45-52); I cognomi di Verona e del Veronese (pp. 55-436); Indice (pp. 439-499).
A pag. 25 v’è una cartina del Veronese illustrante le 8 aree dialettologiche della provincia, e a pag. 27 v’è un’altra cartina della provincia che riporta la linea dell’isofona dh (piú quella dell’area cimbra); entrambe le cartine sono le prime mai pubblicate finora sull’argomento. I cognomi sono stati desunti in primo luogo dalla rubrica telefonica, quindi dai quotidiani locali e da un’infinità di scritti vari; l’autore ha cercato di elencare solo chi gli risultava essere — secondo le sue possibilità di valutazione — un effettivo residente nella provincia (escludendo quindi le persone di passaggio, i militari, ecc.).
Per quest’opera, all’autore è stato conferito il 2° premio ex aequo alla manifestazione “Premio di Lazise sulle pubblicazioni venete” del 1997.
9. Prontuario toponomastico del comune di Verona – 224 pp., Edizioni “La Grafica”, Vago di Lavagno (Verona) 1996.
Sono riportati qui e commentati dal punto di vista etimologico oltre 500 toponimi dell’intero comune di Verona: strade, piazze, località, frazioni, aree. Sono considerati solo i toponimi storici, evolutisi da denominazioni locali (mancano quindi quelli dedicati a personaggi famosi, a città, ad avvenimenti, ecc.). Il volume è dotato di una trentina di illustrazioni, sempre relative ai soli toponimi storici.
10. Miscellanea di toponomastica veronese – 288 pp., Edizioni “La Grafica”, Vago di Lavagno (Verona) 1996.
Volume che ripubblica 21 precedenti saggi toponomastici di Rapelli, riveduti tenendo conto di nuove scoperte o nuove ipotesi, piú 1 saggio inedito. Titoli: Villafranca; Cerro; Buttapietra; Sommacampagna; Campofontana; Siena; Vestenanova; Borgo Venezia (Verona); Lavagno; Borgo Milano (Verona), S. Massimo, Chievo; Caovilla; Fumane; Illasi; Giazza; Val Fraselle; S. Bortolo; Concamarise; Sanguinetto; Buso del Gato; Biondella; Val d’Illasi; Negrar. Il testo è corredato di un dettagliato indice (pp. 265-283).
11. I Cimbri veronesi – 72 pp., Edizioni Curatorium Cimbricum Veronense, Verona 1997.
Opera divulgativa, accompagnata da fotografie di vario genere imposte dall’editore. È suddivisa nei seguenti capitoletti: I Cimbri del tempo dei Romani; Gli attuali Cimbri; L’origine del nome degli attuali Cimbri; Le prime colonie tedesche nel Veneto occidentale; La formazione dei XIII Comuni Veronesi; Il dissolvimento dei XIII Comuni Veronesi; La lingua cimbra tredicicomunigiana; La vita dei Cimbri; Cognomi e toponimi; Personaggi notevoli; Giazza; Appendice (contiene brani dell’attuale cimbro di Giazza); Per saperne di piú (piccolo repertorio bibliografico).
«Pare certo, dunque, che la prima colonizzazione sia avvenuta sull’altopiano dove in seguito si formarono i Sette Comuni, e che essa risalga almeno al 1050-1100, se non forse un po’ prima.
«Purtroppo […], manca qualsiasi documentazione sull’Altopiano d’Asiago fino a tutto il Trecento: un fatto spiegabile secondo il Sartori con l’incendio deliberato, per ragioni belliche o politiche, degli archivi contenenti gli incartamenti relativi ai Sette Comuni. Dobbiamo ricorrere, perciò, ad alcune supposizioni per ricostruire la storia della prima comunità. Forse i primi coloni — boscaioli che praticavano anche la pastorizia — giunsero in seguito a un’infeudazione fatta dall’imperatore Corrado III: verso il 1036 questi concesse Onara e Romano (presso Bassano) a tale Hezilo o Ezelo figlio di Arpone, capostipite della famiglia Da Romano, ed è possibile che il nuovo feudatario collocasse un gruppo di compatrioti sull’estremità orientale dell’altopiano.
«In ogni caso, sembra che i primi Tedeschi venissero chiamati per il tramite delle abbazie benedettine. Le abbazie dovettero rivestire un ruolo importante, all’inizio, nel favorire l’insediamento dei coloni: quella di S. Maria in Organo di Verona era in costante rapporto, nell’XI secolo, con Benediktbeuern come con altre abbazie del Veneto occidentale (sulle quali è probabile esercitasse una certa supremazia, essendo Verona il centro principale della Marca Veronese). Benediktbeuern è situata a circa 50 km a sud di Monaco di Baviera, ed è notevole come il territorio di sua pertinenza confinasse con quello da cui provenne il gruppo piú antico dei coloni: secondo il Kranzmayer, infatti, gli elementi linguistici dimostrano come i primi Cimbri venissero dal Tirolo occidentale.»
(da I Cimbri veronesi, pp. 21-22)
12. La voce etrusca e retica *peruna «roccia, parete rocciosa, lastra di pietra» – 18 pp., Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, Verona 2002.
Memoria presentata all’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona il 28 febbraio 1998 in cui viene ricostruita una voce tanto etrusca quanto retica che secondo l’autore è alla base del ver. prógno «torrente sassoso» e dei toponimi pure veronesi Prun e Parona (quest’ultimo con qualche dubbio). La voce viene associata da Rapelli all’ittito peruna «roccia»: una prova, secondo l’autore, dei legami tra l’etrusco e l’ittito. Purtroppo, il saggio fu stampato negli “Atti” dell’Accademia 1997-98, pp. 225-242, con un numero enorme di refusi (dovuti all’incompetenza del compositore e al fatto che, per disguidi organizzativi, non venne eseguita nessuna correzione di bozze).
Nel 2002 la memoria è stata ripubblicata nella versione integrale originaria, ma come monografia, quindi con numerazione delle pagine autonoma (da 1 a 18). Alla base della pagina di copertina v’è la seguente dicitura: Atti e Memorie della Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona – 2002.
13. L’Isola dei Pagadebiti – 140 pp., La Grafica Editrice, Vago di Lavagno (Verona) 1999.
Romanzo ambientato a Verona tratto da un diario che narra la vita di un giovane, Ezio, dal 1945 (quando aveva otto anni) al 1965 circa. È stato pubblicato con lo pseudonimo di Nugator (intendendo, in latino, «chi si occupa di nugae, piccole cose»).
«Alla sera si andava a letto presto. Ezio usciva con la compagnia solo il sabato e la domenica: negli altri giorni bisognava coricarsi presto, sia per la stanchezza accumulata durante il giorno sia perché non c’erano soldi. Ma addormentarsi non era facile. Quando c’era, suo padre rincasava verso le nove: non stava mai fuori oltre quell’ora, e si alzava sempre alle sei e mezzo. I suoi erano già a letto, magari leggendo qualcosa se non avevano sonno. Si sentiva il cigolio della porta di casa, che veniva chiusa di notte col catenaccio, poi i passi lenti di Romano sui gradini, il rumore ovattato di quando si sedeva sul letto, il lieve tonfo delle scarpe sul pavimento, il tintinnio della fibbia della cintura che veniva slacciata. Quei rumori attenuati parevano quasi dare l’inizio del sonno: dopo di essi Ezio sentiva le palpebre divenire pesanti, e scivolava quasi subito nell’incoscienza. Ma adesso che Romano non c’era piú, quei rumori mancavano. Ezio li passava mentalmente in rassegna uno per uno, e quando era arrivato alla fine ricominciava. La stanchezza lo costringeva a cercare il sonno girandosi sull’altro fianco, ma il sonno stentava ad arrivare, e quando arrivava non era ristoratore come un tempo. A volte, il ricordo lo faceva piangere silenziosamente sotto le coperte. E un pensiero si introduceva di soppiatto in mezzo a tutti gli altri pensieri: non tornerà piú! mai piú!»
(da L’Isola dei Pagadebiti, pp. 53-54)
14. Bibliografia cimbra — 144 pp., Edizioni Curatorium Cimbricum Veronense, Verona 1999.
È la bibliografia cimbra piú completa apparsa finora, comprendente un totale di 698 titoli (670 + 28 supplementari). I titoli sono ordinati cronologicamente, suddivisi nei capitoli Opere sui Cimbri in generale (126 titoli), XIII Comuni Veronesi (290), Sette Comuni (131), Luserna (33), Altre colonie del Trentino (49), Pedemonte vicentino (29), Cansiglio (8), Brasile (4), Addenda et corrigenda (28); il testo relativo occupa le pp. 15-124. Segue un Indice degli autori, pp. 125-131 (che comprende anche i “curatori” e i “traduttori”); un Indice dei periodici (riviste che trattano dei Cimbri), pag. 131; un Indice degli argomenti (comprendente i temi: Arte; Folklore, con religione, ergologia, etnobotanica, mondo delle leggende; Geografia, con antropologia; Letteratura, anche religiosa, con resoconti di viaggio e bibliografie; Linguistica, con dialettologia e filologia; Storia), pp. 131-132; un Indice dei capitoli, pag. 133. Precede una Prefazione di Maria Hornung (in italiano, traduzione dello stesso Rapelli, pp. 5-6; in tedesco, pp. 7-8).
Caratteristiche di rilievo di quest’opera sono: 1) il fatto che vengono riportate solo le prime edizioni di un qualsiasi saggio o volume; 2) la traduzione — tra parentesi quadre — di tutti i titoli in una qualsiasi lingua non italiana (a eccezione di quelli in latino); 3) il commento che viene fornito alla maggior parte dei lavori riportati (per chiarirne il contenuto, ove il titolo non sia sufficientemente esplicativo; per dare il numero approssimativo delle voci, nel caso dei dizionari; per informare su eventuali ristampe contenenti qualche modifica; ecc.); 4) il fatto che i volumi contenenti piú saggi e i volumi di Atti non sono riportati in quanto tali, ma ne vengono dati separatamente i singoli titoli. Mancano nella Bibliografia, per contro, i singoli articoli contenuti nelle riviste che si occupano dei Cimbri (salvo quelli di particolare rilievo), per non appesantire oltremodo l’opera.
Un’appendice dell’opera è comparsa, col titolo di Bibliografia cimbra (Supplemento I), in CT n. 23, 2000, pp. 121-127. Sono riportati qui altri 19 titoli; purtroppo, per una svista della tipografia risultano mancanti gli indici dei periodici e degli argomenti, mentre quello degli autori ne cita solo cinque. Nel n. 24, 2000, della rivista (alle pp. 162-163) è stato pubblicato il materiale mancante in questione.
15. Proverbi italiani: pillole di saggezza popolare – 192 pp., Demetra, Colognola ai Colli (Verona) 2000.
Volume nel quale sono raccolti e spiegati oltre 800 proverbi di tutte le regioni italiane, suddivisi in 11 raggruppamenti (“L’uomo, la donna, l’amore”; “La famiglia e la casa”; “Il lavoro”; “La tavola”; “La religione”; “Rapporti sociali e politica”; “I soldi”; “Animali e piante”; “Vita, morte, salute”; “La meteorologia”; “Miscellanea”). Ogni proverbio è citato con la forma che ha nella parlata locale, seguita dalla traduzione in italiano e (quasi sempre) da un commento.
16. Si dice a Verona: 500 modi di dire del veronese – 192 pp., Cierre Edizioni, Sommacampagna (Verona) 2003.
Sono elencati qui 517 modi di dire del dialetto veronese, raccolti per la maggior parte nella città di Verona. Rapelli intende per “modo di dire” un’espressione che non avrebbe un significato comprensibile se tradotta letteralmente: una frase, o talvolta anche una sola parola, che vengono usate con un’accezione del tutto particolare. Si tratta per lo piú di immagini metaforiche, e negli altri casi di sopravvivenze di espressioni antiche, talora molto remote. Di ogni espressione è dato sia il significato effettivo che le viene attribuito nella coscienza dei parlanti sia il significato letterale; di molte è data una spiegazione etimologica.
Il volume è composto di: Presentazione di Dino Coltro (pp. 9-10); Introduzione (pp. 11-17); Elenco delle abbreviazioni (pp. 19-20); i modi di dire (pp. 23-159); Note (pp. 161-178); Indice (pp. 179-189).
«El d’à fato pèso de Ninéta — Letteralmente, “(egli) ne ha fatte peggio di Ninetta”. Lo si dice di una persona che ne ha fatte di cotte e di crude, che ne ha combinate di tutti i colori; soprattutto parlando di bambini. La locuzione, diffusa in tutta la provincia ma originaria della Bassa, deriva da un personaggio reale. Un certo Francesco Nesi detto Nineta, nativo di Isola Rizza, nel 1822 veniva indicato in un manifesto del delegato regio De Lederer come un brigante da catturare e da consegnare alla giustizia; anche la moglie veniva perseguita, in un altro manifesto, come complice. La leggenda vuole che egli fingesse di parlare a dei complici, mentre in realtà depredava le sue vittime sempre da solo, e che fosse un avventuriero alla Passator Cortese piú che un criminale incallito.
«Una locuzione similare è farde peso de Bartoldo “farne peggio di Bertoldo”; questa, però, è di origine dotta, riferendosi alle trovate di Bertoldo buffone alla corte di re Teodorico come raccontate nel volumetto di Giulio Cesare Croce (1550-1609) Bertoldo. Questa seconda locuzione, del resto, è entrata anche nell’italiano letterario…»
(da Si dice a Verona: 500 modi di dire del veronese, pp. 75)
17. Nel cuore di Verona: gli anni Cinquanta dei veronesi – 140 pp., Cierre Edizioni, Sommacampagna (Verona) 2003.
Il volumetto consiste essenzialmente nella ristampa dell’altra opera qui col § 5 (Nel cuore di Verona cinquant’anni fa), con alcuni ritocchi e aggiunte. Tra queste ultime, notevoli l’accenno nella prefazione alle cause del forzato spopolamento del centro storico, verificatosi a partire dal 1970 circa, e l’inserimento di diverse illustrazioni. Le pp. 131-132 ospitano una biografia dell’autore.
«I vecchi non erano numerosi come al giorno d’oggi. Le malattie li falciavano uno dopo l’altro, in particolare la polmonite. Mancando gli antibiotici, l’unica possibilità che aveva un anziano di superare questa terribile spada di Damocle stava nelle risorse del suo fisico: se era robusto ce la faceva, altrimenti no. Gli acciacchi della vecchiaia venivano accettati dai famigliari come componente inevitabile dell’esistenza. I nonni semiparalizzati o arteriosclerotici erano compatiti, e aiutati a turno dalle figlie, dalle nuore, dai nipoti. Era difficile che qualcuno arrivasse a lamentarsi dell’incomodo che poteva dare un nonno; a parte il generale rispetto verso chi era piú anziano, la famiglia era considerata un tutt’uno, dall’ultimo nato al capostipite che si avviava al tramonto. A nessuna moglie, a nessun marito sarebbe mai venuto in mente di dire al coniuge “tuo padre o tua madre non hanno nulla a che fare con noi”. I vecchi venivano portati al ricovero di via Marconi solo quando non era assolutamente possibile accudirli, per un’arteriosclerosi troppo avanzata. Allora le figlie avvicinavano un infermiere e piangendo gli davano del denaro perché trattasse con rispetto il genitore. In seguito sarebbero andate a fargli visita ogni due o tre giorni. Talvolta la vecchia madre o il vecchio padre si riscuotevano per qualche momento dall’incoscienza e guardavano atterriti e increduli l’ambiente in cui si trovavano, supplicando i congiunti di portarli via dal ricovero, di farli tornare a casa. Questo aggiungeva strazio allo strazio. Il ricovero era considerato poco meno che una prigione, per la disumanità del trattamento: il vecchio vi perdeva la sua identità di padre, nonno, zio, grande lavoratore, persona onesta, reduce o quant’altro per assumere quella di un fantoccio di pezza. Gli infermieri davano del tu a tutti, in un tempo in cui il “tu” era solo confidenziale e richiedeva comunque un’espressa autorizzazione, e la gente fremeva nel sentirli apostrofare in quel modo i propri cari. Spesso il personale lasciava un paio d’ore e oltre i vecchi immersi nelle proprie feci o nell’orina, o dava loro da mangiare il cibo ormai freddo. Gli infermieri avevano le loro ragioni (erano pochi e mal pagati), ma ciò non attenuava minimamente la sgradevolezza di tali fatti.»
(da Nel cuore di Verona: gli anni Cinquanta dei veronesi, pp. 105-106)
18. I cognomi del territorio veronese -– 858 pp., Cierre Edizioni, Sommacampagna (Verona) 2007.
Questo volume costituisce in pratica l’aggiornamento al maggio 2007 dell’opera contrassegnata qui sopra col § 8.
La Presentazione è a cura di Maria Giovanna Arcamone, dell’Università di Pisa. Molte etimologie sono rivedute (sulla base di nuovi dati e alla luce dei volumi usciti nel frattempo sui cognomi sardi, friulani, modenesi, siciliani), con circa un migliaio di nuovi cognomi e moltissime attestazioni antiche mancanti nell’edizione precedente.
Il totale dei cognomi discussi è di circa 12.000, dei quali un 60% circa rappresenta la massa cognominale presente nella provincia di Verona, mentre il resto delle voci riguarda cognomi non presenti in questa ma riportati a sostegno delle ipotesi etimologiche espresse. La Premessa è stata arricchita con un gran numero di nuove osservazioni.
«Tra i primi cognomi veronesi sono da annoverare: Sambonifacio, denominazione di un’importante famiglia il cui capostipite è Milone di Sambonifacio, conte di Verona, morto dopo il 955 (si noti, però, che Milone non è mai ricordato nei documenti contemporanei con tale casato, che sembra pertanto essergli stato attribuito solo successivamente dagli storici; in realtà, i primi personaggi qualificati nei documenti col cognome Di Sambonifacio sono i fratelli Enrico e Uberto, verso la metà dell’XI secolo); Erzoni, il cui capostipite è un certo Herizo ricordato tra il terzo e il quinto decennio dopo il Mille (la famiglia degli Erzoni è detta domus de Herizonibus verso la metà del XII secolo); Della Scala, la cui citazione piú antica è del 1053; Turrisendi, famiglia ricordata a partire dall’XI secolo; Crescenzi, famiglia che comincia a emergere politicamente all’inizio del XII secolo; Avvocati (alcuni personaggi con tale cognome compaiono nel 1185); Monticoli o Montecchi, famiglia che verso la fine del XII secolo è a capo dei ghibellini veronesi; Dalle Carceri, famiglia nota dalla metà del XII secolo. Nessuno di questi cognomi è sopravvissuto fino a oggi.
«Anche nel Veronese l’usanza del cognome si propagò a tutta la popolazione assai lentamente. Nel 1239, […] tra gli esiliati guelfi v’erano persone dotate di cognome e persone che ne erano prive, nonostante che si trattasse di gente appartenente al ceto nobiliare o ad altri ceti superiori. Un secolo dopo, però, il processo della cognominazione appare ormai compiuto nelle classi elevate. I trentotto milites che Cangrande armò nella curia cavalleresca del 1328, la piú splendida tra quelle scaligere, sono tutti dotati di cognome.»
(da I cognomi del territorio veronese, pp. 33-34)
19. (assieme a Debora Bionda) Veneto: percorsi del gusto dalle Dolomiti all’Adriatico — 280 pp., Edizioni Gribaudo, Milano 2009.
Questo volume offre una panoramica dettagliata sulla grande tradizione enogastronomica veneta, mettendo in evidenza l’evoluzione dell’arte culinaria attraverso ricette firmate dagli chef stellati della regione. Rapelli è responsabile qui della descrizione storica e artistica delle singole province venete. I testi sono così suddivisi: Venezia pp. 35-45, Verona pp. 77-88, Vicenza pp. 133-143, Padova pp. 165-175, Treviso pp. 187-197, Rovigo pp. 223-229, Belluno pp. 241-249.
20. La lingua veneta e i suoi dialetti -– volume di 116 pp., Perosini Editore, Zevio (Verona) 2009.
Volumetto divulgativo illustrante la storia della lingua veneta e le sue suddivisioni dialettali, dal Mincio alle Bocche di Cattaro. La parte iniziale (pp. 1-47) riguarda l’attuale rapporto tra la lingua ufficiale dell’Italia e i dialetti italiani.
Il volume è composto di: La lingua della famiglia e degli affetti (prefazione di Giancarlo Volpato), pp. 7-19); Premessa (pp. 23-24); I dialetti italiani (pp. 25-47); L’identità veneta (pp. 48-62); Elementi di storia linguistica (pp. 63-69); Le principali caratteristiche del veneto (pp. 70-77); Influssi veneti sull'italiano (pp. 78-84); Influssi veneti su altre lingue (pp. 85-89); Voci penetrate nel veneto da altri dialetti e lingue (pp. 90-94); Il gergo (pp. 95-97); La “lingua franca” (pp. 98-99); Comunità venete nel mondo (pp. 100-104); Nota biografica (pag. 105); Appunto bibliografico (pp. 106-111); Indice (pag. 113). Sono allegate due cartine illustranti l’estensione dei dialetti veneti al tempo dell’invasione francese di fine Settecento: una relativa al Veneto vero e proprio, l’altra relativa alla zona da Trieste alle Bocche di Cattaro.
«In conclusione, teniamoci cari i dialetti: tutti i dialetti, di qualsiasi zona d’Italia. Essi non solo servono a dare sfogo alla nostra emotività e alla nostra creatività, ma sono anche utili alla lingua comune, perché rappresentano un serbatoio inesauribile di nuove espressioni, nuovi termini, nuovi modi di pensare e di comunicare. Qui si potrà fare molto dando l’esempio: usando il dialetto in casa o tra amici, mantenendo vive le espressioni particolari udite dagli anziani... Come in molti altri campi della vita, anche in questo conta l’esempio che si dà. I giovani ci guardano, e istintivamente riproducono spesso i nostri atteggiamenti: è inutile che un ladro raccomandi al figlio di non rubare, o che un mangiapreti dica che lui non proibisce a suo figlio di andare in chiesa. Se i figli vedono che un valore viene trascurato, tenderanno anch’essi a trascurarlo.»
(da La lingua veneta e i suoi dialetti, pag. 42)
21. Si dice a Verona: 550 modi di dire del dialetto veronese — 192 pp., Cierre Edizioni (Sommacampagna (Verona) 2013.
Riedizione del volume del 2003 (si veda il § 16), con l’aggiunta di 33 espressioni prima non apparse.
22. Il latino dei primi secoli (IX-VII a.C.) e l’etrusco — 230 pp., “ItaliAteneo”, Società Editrice Romana, Roma 2013.
Il libro propone una quantità di nuove etimologie del latino, partendo da un assunto: i pastori latini giunsero a Roma nel IX secolo a.C. in una zona totalmente etrusca. Il contatto degli indigeni etruschi coi nuovi arrivati, pastori e all’occorrenza agricoltori, fu traumatico: la futura, meravigliosa cultura latina non può essere spiegata se non partendo da questa premessa. I nuovi arrivati si scontravano con gente espertissima nella metallurgia, che introduce l’uso del ferro in Italia (e da questa, successivamente, a La Tène e a Hallstatt), ma esperta anche nell’arte della navigazione, nell’epatoscopia e nell’urbanistica.
«Tutti gli studiosi, senza eccezione, hanno riconosciuto che gli Etruschi esercitarono un profondo influsso sui Romani. Tuttavia, l’insufficiente conoscenza della lingua etrusca non aveva permesso di avere un quadro circostanziato di questo influsso. Ci si soffermava quasi esclusivamente sul periodo orientalizzante della cultura etrusca, sui secoli VII e VI a.C., quando questa raggiunge il suo culmine (copiando i modelli greci di scultura e architettura e sviluppando una meravigliosa oreficeria) e contemporaneamente si ha a Roma il dominio dei due Tarquini (due re che forse erano in realtà uno solo). Ma non credo si possano avere dubbi sul fatto che i primi Etruschi raggiunsero le rive del Tevere molto prima, nell’ambito della loro prima espansione sul suolo della penisola. Essi si diffusero inizialmente dovunque potessero trovare minerali, in particolare quelli ferriferi. La loro cultura era di gran lunga superiore a quella dei pastori umbri e latini, e costoro non potevano non assorbirne numerosi elementi.
«(...) In favore di un precoce influsso etrusco parla la toponomastica della zona di Roma, sicuramente precedente l’arrivo dei Latini (Suburra, Palatium, Tiber, il nome stesso di Roma). Anche l’enorme numero di nomi personali latini di origine etrusca parla in favore di un seriore inserimento di popolazioni pastorali latine su una popolazione etrusca; il contrario non sarebbe accettabile.»
(da Il latino dei primi secoli..., pp. 162, 165)